lunedì 12 novembre 2018

Cucinare il risotto è un’arte che prevede una cura certosina della pietanza che va cotta a fuoco lento, girando di tanto in tanto, con pazienza.

L’autunno è la stagione perfetta per i risotti ed oggi voglio condividere con voi una ricetta gustosa di risotto all'uva con aria di parmigiano e prosciutto croccante realizzata in occasione di un bellissimo evento organizzato da Faber nel corso della 81^ Sagra dell’Uva di Cupramontana.

Gli elementi essenziali di questa ricetta sono due: uva e aria.

L’uva è uno dei frutti più amati della nostra terra, le Marche, dove regna il Verdicchio. Uva che ci rimanda all’autunno, all’odore del mosto che presto diventerà vino. Uva che ci ricorda l’allegria, la freschezza, la dolcezza e la bontà di un frutto antico.


L’aria è il denominatore che unisce un territorio immerso nelle colline marchigiane e le cappe da cucina di ultima generazione della Faber, un'azienda all'avanguardia che fa della qualità dell’aria una vocazione. Se siete alla ricerca di una cappa vi consiglio di dare un'occhiata ai prodotti di questa realtà marchigiana proiettata verso un'innovazione orientata a migliorare la nostra quotidianità.



Tutto questo ha dato vita ad una succulenta ricetta: quella del risotto all’uva con aria di parmigiano e prosciutto croccante realizzata dalla blogger Perle e Ciambelle.



Mi è piaciuto molto il risultato finale e oggi voglio condividere con voi la preparazione passo passo e alcuni consigli che ho appreso seguendo il suo showcooking:
  • la prima cosa da fare è preparare il brodo. Per un grande risotto occorre un buon brodo fatto con verdure di stagione cercando di evitare il pomodoro, il finocchio, le melanzane e i peperoni. Per questa ricetta occorrono due brodi: uno di verdure per il risotto e uno di parmigiano per la decorazione. Per il brodo di parmigiano servono 2 litri di acqua e 5/6 croste di parmigiano, da cuocere almeno un paio d’ore. Lo si può preparare anche prima e conservarlo in frigo per qualche giorno o in freezer per un mese
  • Tostare il prosciutto in padella e metterlo da parte. Lo si utilizzerà al termine della preparazione per decorare il piatto
  • Imbiondire la cipolla con il burro
  • preparare il succo d’uva ricavato a freddo con uno schiaccia verdure. Questo servirà per mantecare il risotto
  • Tostare il riso in 2/3 minuti al massimo per sigillare il chicco e migliorare la cottura
  • Sfumare il riso con il succo d’uva
  • cuocere il risotto nel brodo di verdure (dai 13 ai 18 minuti)
  • Preparare l’aria di parmigiano: con un frullatore ad immersione mescolare qualche minuto il brodo di parmigiano con la lecitina fino a ricavare una schiuma

  • Mantecare il riso con parmigiano, robiolino, chicchi d’uva e timo mescolando energicamente


Impiattare... E voilà il risotto è servito!






Il piano cottura a induzione con cappa integrata Galileo

Per la realizzazione di questo piatto è stato utilizzato il piano a induzione Galileo, un gioiello di tecnologia in classe A+++. Piano cottura ad induzione e cappa aspirante in un unico prodotto estremamente funzionale che unisce la massima perfezione estetica alle grandi performance di massima potenza e sicurezza, minima rumorosità e tecnologia waterproof. L’aspiratore incorporato nel piano cottura evita la dispersione di fumi e vapori con un immediato aspiraggio. L’avete mai provata?

Ecco un video che dimostra le sue performance e racconta questo showcooking


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Articolo realizzato in collaborazione con Faber 

sabato 10 novembre 2018

Una passeggiata immersi nella natura non può che fare bene dopo una lunga settimana di impegni. Me lo ripropongo tutti i weekend e puntualmente, arrivato il sabato, mi coglie la pigrizia e con la scusa di avvantaggiarmi con il lavoro spesso mando a monte tutti i buoni propositi. Stamattina no!



Ho scelto di forzare la corda e partire! Anche grazie a Mauro che ha deciso di spronarmi un po’ e coinvolgermi in una bella escursione al Monte San Vicino. Lui aveva deciso di andare in bicicletta ma incastrando i programmi sarebbe riuscito a fare tutto. E quindi siamo partiti in tre: io, Mauro e il piccolo Diego decisi a scalare la vetta. Quella splendida vetta che ci guarda sorniona dall’alto della sua strana forma a panettone.


Curiosità sulla forma del Monte San Vicino

Il San Vicino non è una montagna altissima, raggiunge i 1479 metri ma ha le caratteristiche di essere visibile da ogni punto cardinale e di cambiare aspetto a seconda di dove lo si guardi. Visto da Matelica e dalla sua vallata ha una forma piramidale, dal fabrianese o dal maceratese assume un aspetto a gobba di cammello, infine dall’anconetano o dal mare ha una forma trapezoidale. Per questo la montagna ha sempre rappresentato, sin dall’antichità un importante punto di riferimento visivo per coloro che si spostavano a piedi o a cavallo e continua ad esserlo oggi per me, che appena mi affaccio dalla finestra lo vedo, alto e fiero tra le valli.


La salita al Monte San Vicino 

Siamo arrivati ai Prati del San Vicino con la macchina in tarda mattinata e siamo partiti imboccando il sentiero Matelica che risale il versante del monte attraversando dapprima un bosco e poi un sentiero roccioso fino ad arrivare alla cima. Il percorso è di breve durata ed adatto a tutti.



Noi abbiamo portato anche il piccolo Diego, in groppa dentro il marsupio. Grazie al babywearing siamo liberi di fargli scoprire il mondo insieme a noi e grazie alla giacca Wear Me l'autunno e l'inverno non ci spaventano. Le nuvole erano basse e correvano veloci, il cielo azzurro e la temperatura era mite, tendente al fresco. Un clima ideale per fare passeggiate e una stagione unica per ammirare la bellezza dei boschi che si spogliano di foglie.





L’attraversamento del bosco è, secondo me, la parte più bella del percorso ma anche la più faticosa con livelli di pendenza che superano il 20%. Si cammina sopra una coltre di foglie cadute e si possono ammirare gli alberi che, spogli, assumono forme sinuose e spettrali. Il rumore dei passi tra le foglie secche ci accompagna per il sentiero.




Diego da dentro il marsupio è attento e curioso di tutto ciò che vede intorno a lui. Non appena lo facciamo scendere allunga le mani per toccare le foglie e il muschio sopra i sassi. È sorprendente vederlo mettersi a gattoni nel cuore di un bosco e immergere le mani tra le foglie facendole volare.



Nel corso del cammino incrociamo qualche altro camminatore che rapido risale il sentiero. Io non sono allenata e procedo a passo lento. Ammetto anche di aver pensato un paio di volte di fare dietro front. Ma poi, alla fine del bosco, dopo circa 700 metri la salita si ammorbidisce ed inizia ad essere più pianeggiante. Allora riprendo fiato e decido di continuare riflettendo su come la montagna, attraverso l’esperienza della salita, confermi e rimarchi le caratteristiche della vita. Niente può durare per sempre, nemmeno la fatica e il dolore. E quindi ecco che quella salita estenuante ad un certo punto finisce ed inizia un bel percorso pianeggiante con un suggestivo panorama da ammirare che ti ricarica e ti spinge a proseguire.


Terminato il percorso nel bosco inizia un sentiero acciottolato, grossomodo pianeggiante, che gira intorno alla montagna per un pezzo per poi continuare a salire in forte pendenza fino alla cima caratterizzata da una grossa croce di ferro.



L’ultimo tratto è abbastanza impegnativo ma l’obiettivo è vicino e si è motivati a raggiungerlo. Dalla cima si può godere di un bellissimo panorama fatto di valli verdi, colli che sembrano disegnati, campi coltivati e borghi immersi fra le colline. Si ammira Fabriano, Val di Castro, il lago di Castreccioni fino al mare.


La strada per il ritorno corre via in un baleno. Impieghiamo in tutto quasi due ore a percorrere un sentiero di 3 km e mezzo. È sicuramente un tempo lungo dovuto al mio basso allenamento e al piccolo Diego portato in groppa.


Torniamo alla macchina ed è ora di pranzo. Arriviamo a Pian dell’Elmo e mangiamo al Ristorante Forconi. È un’attività che esiste dal 1965 e propone piatti della tradizione che ti fanno sentire come a casa dei nonni. Terminato il pasto torniamo a casa, Mauro in bicicletta, io insieme a Diego in macchina, felice di aver superato la mia zona di confort e essermi regalata una immersione nella natura.

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domenica 13 maggio 2018


“Portare addosso i neonati e i bambini non vuol dire solo trasportarli ma rappresenta una modalità unica di sostegno emotivo nella relazione nascente con il proprio bebè” 


Nella settimana europea del babywearing che oggi giunge al termine (dal 7 al 13 maggio 2018) voglio dedicare una riflessione e un racconto al portare in fascia, un mondo meraviglioso che ho scoperto con la nascita di Diego e che mi ha donato una visione completamente diversa dell'accudimento di un neonato e dell'essere genitore. Babywearing significa letteralmente "indossare il proprio bambino". In tutto il mondo, da sempre, i bebè vengono portati addosso con supporti e modalità differenti: in Africa si usano teli di cotone di circa 2 metri, in Cina il mei tai, in Messico il rebozo, in Italia (dove trionfa la genitorialità a basso contatto) a farla da padrone è il fantomatico trio navicella-ovetto-passeggino, la cui scelta mi ha fatto impazzire con la nascita di Enea, il mio primo figlio. 



Con Diego per fortuna le cose sono cambiate. Vi racconto come ho scoperto la "cultura del portare" ancora troppo poco conosciuta in Italia ma che, fortunatamente, piano piano sta iniziando a diffondersi.  

Ho incontrato questo mondo in un modo apparentemente casuale, forse perché dovevo, proprio come quelle cose che arrivano ed è come se ci fossero sempre state. Ad oggi mi viene da pensare che in realtà ognuno di noi attrae ciò che sta trasmettendo. Posso collocare l'inizio della mia curiosità per il babywearing qualche anno fà, quando ad una fiera del turismo incontro Elisa e Luca, una coppia di travel blogger, che molto agevolmente giravano per gli stand con il loro bimbo neonato in fascia. Ricordo i loro visi felici, il loro entusiasmo, la loro autonomia di movimento in mezzo a quel caos e ricordo nitidamente di aver fatto loro le solite domande che ora vengono poste a me: "Ma come fate senza passeggino? Non vi pesa? Ma siete sicuri che il bambino stia comodo?" Spero di non aver posto la più classica: "Ma Respira lì dentro?" :) 

Elisa e Luca sul loro blog www.miprendoemiportovia.it hanno condiviso questo loro percorso di babywearing e hanno dimostrato attraverso i loro racconti di viaggio tutte le potenzialità della fascia portabebè. Quando sono venuti nelle Marche l'estate scorsa con il loro bimbo, ormai cresciuto, io aspettavo Diego. Ricordo una cena deliziosa a Senigallia, ricordo che mentre mangiavamo pesce e sorseggiavamo vino con i piedi nudi sulla sabbia mi è tornato in mente quell'incontro di alcuni anni prima. Ascoltando i loro racconti inizia a solleticarmi l'idea di approfondire. Dopo qualche giorno Elisa mi manda la lista dei libri letti durante la sua gravidanza; alcuni titoli mi colpiscono e inizio a curiosare su Amazon. Scopro così la casa editrice Il leone verde e la collana Il bambino naturale. Mi si apre un mondo fatto di genitorialità ad alto contatto, di ascolto ed accoglimento dei bisogni del neonato. Acquisto quattro titoli, uno più bello dell'altro (Il libro Portare i piccoli è il primo che leggo ed è stato illuminante) che mi fanno compagnia durante la mia maternità e mi accompagnano in un viaggio dentro di me, fino alla mia infanzia, alla scoperta della bimba che sono stata e che ogni tanto ritorna a farmi visita. È stata anche lei a guidarmi nella scelta. Volevo riscattarla. Lei è stata figlia di genitori a bassissimo contatto ed io sono diventata l’opposto perché credo fermamente che attraverso un attaccamento sicuro possiamo rendere i nostri figli più liberi. 



Dopo questo incontro il mio viaggio continua e mi porta a conoscere Federica, colei che diverrà la mia consulente del portare. Anche lei è arrivata in modo apparentemente casuale, tramite un gruppo di mamme su FB che mi fanno scoprire che ha una fascioteca. Non sapevo che esistessero luoghi dove acquistare e noleggiare fasce, dove incontrarsi con altre mamme e condividere un percorso. Vado ad un incontro informativo e sento di essere nel posto giusto. 



Lo stesso giorno, una bella giornata di sole d'ottobre, al mercato incontro una bellissima mamma conosciuta anni fa e come per magia iniziamo a parlare di fasce. Lei condivide con me la sua indimenticabile esperienza del portare sua figlia, dalla fascia elastica al marsupio passando per la rigida e tra una chiacchiera e l'altra mi propone di prestarmi la sua elastica. Averla ricevuta in prestito per lei ha avuto un grande valore e per questo è felice di donare a sua volta una carezza ad un nuovo bimbo che nascerà. La fascia elastica è la più breve in durata. Si può indossare fino ai 6 kg del piccolo, per questo il suo uso è molto limitato. Questa è la fascia che ha accolto Diego a tre giorni di vita. Una sorta di trade union fra la vita intra ed extra uterina. Dalle pareti elastiche ed accoglienti dell’utero al tessuto morbido e sostenitivo della fascia, sempre cuore a cuore con la mamma, il porto sicuro di ogni bambino. 


Il viaggio continua con una consulenza insieme al mio compagno durante la quale Federica ci insegna alcune legature e ci racconta di questo mondo meraviglioso. All'inizio mi sento impaurita da quei giri di stoffa intorno al corpo. Poi piano piano quelle giravolte, quelle piroette di cotone assumono un loro senso ed inizio a portare il mio pancione con grande sollievo della mia schiena. Consiglio a tutti coloro che vogliono approcciarsi a questo mondo un colloquio con una “consulente del portare”, una figura formata, qualificata e competente su questo tema che accompagna la mamma, il bambino e tutto il sistema familiare verso la genitorialità a contatto a partire dal portare “fisicamente” il proprio figlio mediante supporti idonei ed ergonomici. 


Il viaggio non si ferma. La mia curiosità mi porta al gruppo FB "Piazzetta Babywearing" dove inizio a decifrare le sigle, le grammature, a distinguere le marche e a individuare il mio gusto. Interagisco nel gruppo e a rispondermi sono anche due mamme mie compaesane che scopro essere due esperte portatrici. Sono felice di essere arrivata in questo mondo di mamme che danno valore al contatto con i propri figli, elemento che, come me, considerano imprescindibile per un sano rapporto genitoriale e per far crescere i nostri bimbi sicuri e liberi. Dopo aver familiarizzato con il gruppo mi affaccio incuriosita sugli album di vendita delle fasce usate. Scopro che le fasce non si svalutano e acquistarne di usate può essere un valore aggiunto. Perché la fascia va domata. Il tessuto più lo si usa e più si ammorbidisce e la carezza al nostro bambino sarà ancora più dolce.


Qui incontro la mia prima fascia. Il mio colore. La mia texture. La guardo e la riguardo ed è proprio lei quella che voglio per portare mio figlio: una Didymos Metro Eden di un bel colore verde. Verde come l'armonia, verde come la speranza di un meraviglioso futuro per il mio nuovo nato. Caso vuole, ma ormai come sapete non credo più che sia un caso, che questa fascia mi porti sul sito di Allegri Briganti dove rincontro Virginia, conosciuta anni fa su Twitter. Lei è l'ideatrice di Allegri Briganti, uno shop online di abbigliamento per bambini con una sezione apposita dedicata al babywearing. Virginia mi racconta che la fascia è una sua creazione, che ne sono stati prodotti solo 30 pezzi e che è appena nata. Che emozione! Tutto questo mi riempie il cuore di gioia e mi porta a pensare che è proprio vero "In ogni istante, anche adesso, stai attraendo ciò che stai trasmettendo." La sua gentilezza e disponibilità mi fanno sentire accolta e avvolta in un caldo abbraccio. E così decido di acquistarla. Due giorni dopo è già a casa mia. Giusto il tempo di lavarla e stirarla ed è già addosso. La vivo, la accarezzo ed è morbidissima e sta da dio anche al mio compagno che si scoprirà anche lui un papà canguro.


Dopo di lei sono arrivate altre fasce, di altri blend, di altre lunghezze, per soddisfare le esigenze del bambino che cresce e la mia curiosità di sperimentare sempre qualcosa di nuovo. Ognuna di esse ha una sua meravigliosa storia e mi piace pensare che se sono arrivate a me ci sia un motivo. Dietro a questi magici pezzi di stoffa c'è un lavoro appassionato e donne meravigliose che con amore e professionalità scelgono i tessuti e le texture migliori rispettando i requisiti di sicurezza. Il babywearing è una modalità di accudimento economica e sostenibile, c'è infatti chi sceglie di utilizzare una sola fascia per tutto il percorso che di solito va da 0 ai 36 mesi del bambino.



Concludo con una riflessione letta sul libro "Portare i piccoli" di Esther Weber, che consiglio a tutti coloro che sono interessati all'argomento
Cosa significa per il bambino essere tenuto cuore a cuore? "Significa tenerlo al riparo dai pericoli di sovraesposizione sensoriale, di eccitazione insopportabile proveniente dal mondo esterno, tenerlo dentro, al caldo, favorendo un senso di continuità con lo stato gestazionale e un passaggio graduale al mondo. La fascia soddisfa tutto questo favorendo uno sguardo sul mondo da una posizione privilegiata, in groppa alla mamma o al papà. La fascia offre ali e radici: perché da una parte rafforza il legame e dall'altra favorisce uno slancio verso l'autonomia. Quando il bimbo sarà pronto ed avrà nel suo bagaglio la giusta dose di contatto trasformerà la dipendenza in energia che gli permetterà il distacco. Quanto il legame primario è stato armonico e sintonico quanto più il futuro adulto saprà concedersi al mondo, saprà amare. È riconosciuto dalla neuroscienze e dalla psicoanalisi che una mente ha bisogno di un'altra per farsi e sentirsi viva, proprio come un corpo ha bisogno di un altro per esistere. L'abbraccio della madre al suo bambino gli rimanda il pieno senso di essere vivo."

Info utili

  • Per saperne di più sul mondo del babywearing vi consiglio il libro "Portare i piccoli" di Esther Weber 
  • Vi segnalo i siti delle principali scuole italiane dedicate al babywearing dove potrete trovare approfondimenti tecnici e scientifici: scuoladelportare.it - babywearingitalia - portareipiccoli.com
  • Se volete iniziare a portare il vostro bambino vi consiglio di contattare una Consulente del Portare: una persona competente che ha effettuato una completa formazione teorico- pratica per svolgere la sua attività. 
  • Per scoprire le istruttrici/consulenti della vostra regione cliccate qui, qui o qui






sabato 5 maggio 2018

Eccomi di ritorno dalla nostra prima vacanza in quattro. Sono stati tre giorni meravigliosi passati alla scoperta di alcune località dell’Umbria e della Toscana. Nello spazio intimo del camper, dove al tempo del viaggio si unisce quello della nostra vita insieme, ho avuto la conferma che Quattro è il mio numero perfetto! Sono felice di questa nuova dimensione. La sento mia. La sento nostra.





La prima tappa del nostro viaggio è stato il Lago Trasimeno, il più antico d’Italia che ci ha accolto con un primo assaggio d’estate. Ad incuriosirci più di ogni altra cosa sono state le sue isole: l’isola Polvese (la più estesa), l’isola Minore (la più piccola e disabitata) e l’Isola Maggiore, ricca di testimonianze storiche e artistiche. Scegliamo quest'ultima per una breve visita che ci ha permesso di scoprire un suggestivo angolo d'Italia.



Abbiamo preso il traghetto da Castiglione del Lago e nel giro di mezz'ora eravamo sull’isola che mi è sembrata sin da subito interessante. Impervia e selvaggia. Dalla piazzetta principale si snoda l'unica strada a mattoni rossi da cui si affacciano le abitazioni in pietra che erano le antiche case dei pescatori.



Finita questa strada parte un sentiero sterrato che ci conduce fino alla sommità dell'isola. Mentre mi inerpicavo con Diego, che beatamente dormiva in fascia, su una stradina di terra, scoscesa e sassosa, ho pensato a ciò che mi avrebbe impedito di fare il passeggino. Ogni giorno ringrazio la fascia, questo magico pezzo di stoffa che ho avuto la fortuna di scoprire prima che Diego nascesse.

Arriviamo sulla sommità dell'Isola, incontrando nel tragitto svariati fagiani che scopriremo poi essere gli attuali abitanti dell'isola insieme alle 15 persone che ci vivono tutto l'anno. Ci sono circa 200 fagiani in tutta l'isola e sono arrivati da qualche anno. Prima di loro questa terra era popolata da conigli selvatici. Ce n'erano a migliaia e la vegetazione era quasi scomparsa. Si sono poi autoestinti, non si sa bene come, anche se forse si può immaginare ma non vi è certezza. A raccontarci queste storie sono Massimo e Maria, una coppia incontrata in prossimità della chiesa di San Michele Arcangelo (in foto), da dove si può ammirare una bella vista sul lago. 




Maria è nata qui e ci è vissuta fino alle scuole elementari. Ora ci viene quando ha voglia di rilassarsi e la sua casa si affaccia sul portale della bella chiesa di San Salvatore. Conosce l'isola come le sue tasche, e si ricorda di quando scorrazzava per quei sentieri con le sue amiche di infanzia. Massimo ci racconta quanto sono belli i tramonti da lassù, quando alle 20 parte l'ultimo traghetto e l'isola si svuota, il cielo si colora di rosso e la natura regna sovrana. Dice di non averne mai visti di così infuocati in altri luoghi. Pare sia una caratteristica del lago che attira molti fotografi. Massimo e Maria ci accompagnano alla scoperta delle tracce di San Francesco che sull'isola vi ha trascorso una quarantena nel 1211. La leggenda narra che su di un masso vi siano ancora impressi i segni dei suoi gomiti e delle sue ginocchia. Poco più in alto, oggi riparato da una cappellina, un altro masso fece da giaciglio al Santo durante il suo soggiorno. Qui si trova anche una statua che lo raffigura a testimonianza del luogo del suo sbarco. Questo piccolo angolo di quiete e spiritualità è il punto più caro agli isolani devoti e a tutti i pellegrini (in foto).



Dopo questa bellissima scoperta salutiamo in fretta Massimo e Maria per tornare al traghetto. Partiamo con la felicità di chi è stato accolto con grande ospitalità constatando per l'ennesima volta che il bello del viaggio sono gli incontri. L'altro che si racconta, che ti regala un ricordo, un'esperienza che a volte vale il viaggio. 


In traghetto la luce è bellissima, il lago risplende, Enea gioca a memory, io guardo Diego che da dentro la fascia osserva il mondo curioso e attento. Mi sembra un momento perfetto, forse uno di quelli in cui tutti i pianeti sono allineati e non desidero nient'altro che stare lì con la mia famiglia. In quel pezzetto di mondo, in mezzo ad un lago, su un traghetto con in braccio la mia felicità.


Questa meravigliosa atmosfera ci accompagna per tutta la serata che prosegue verso Castiglione del Lago, su una ripida salita che ci porta al castello. La luce del quasi tramonto allunga le ombre e illumina tutto di una luce dorata. Le torri merlate, i bastioni, le porte: tutto sembra rimasto intatto dal 1247 quando Federico II di Svevia decise di costruire il Castello del Leone che con la sua forma pentagonale pare sia ispirata alla costellazione del Leone.



La nostra giornata termina con una buona cena a base di pici, una sorta di tagliatelle/spaghetti tipici della zona e una schiaccia, una specie di pizza condita con crudo, rucola, parmigiano, pomodorini e bufala (in foto). 




A volte basta poco, a volte basta semplicemente "esserci" per cogliere ciò che la vita ci sta regalando.

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